Partiamo da un presupposto: lasciare i risparmi “fermi” sul conto corrente con l’auspicio di trovarli moltiplicati dopo qualche tempo è un bel ricordo di un passato lontano. Forte anche della sforbiciata imposta dalla crisi economica, il settore bancario non remunera più (se non per decimi di punto percentuale, a loro volta depauperati dal carico fiscale) la liquidità depositata dai risparmiatori nei suoi forzieri. Bisogna investire, con tutto il rischio che questo potrebbe comportare, per avere qualcosa di più e di meglio, ma la scelta deve essere molto oculata. Acquistare titoli e azioni in banca, infatti, se si è titolari di qualche “particolare” conto corrente in una determinata banca più che un investimento rappresenta un salasso: quello imposto dall’istituto alla voce “costi di commissione”.
Immaginando di voler investire 10mila euro in azioni, bisogna sapere che c’è un importo medio di costi annui che si aggira attorno ai 120 euro; in un periodo in cui la Borsa sale e scende senza un’apparente criterio logico, è un onere questo da mettere in preventivo e da tenere in grande considerazione perché potrebbe mangiarsi tutto l’effetto del vostro buon investimento (o frustrare ulteriormente una cattiva scelta). Discorso valido, questo, anche per chi predilige la scelta dei titoli: in questo caso l’onere è grossomodo dimezzato, ma anche il rendimento del prodotto lo è (anche se ha il vantaggio di essere garantito).
La soluzione, ancora una volta, viene da internet: tra le banche on-line, è difficile trovarne qualcuna che per farsi carico di tutta la gestione della pratica chieda un importo superiore ai 20 euro; avendo la possibilità ed il “coraggio” (spesso questi istituti devono scontare una diffidenza, tipicamente italiana, riservata a tutto quanto c’è di non fisico e tangibile) di farvi ricorso, non ci sarebbero dubbi. L’indagine è stata condotta dall’Università Bocconi di Milano facendo riferimento ai dati forniti dalle banche attraverso il loro consorzio informativo, PattiChiari.
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