Una delle risposte italiane alla morsa del credit crunch e alla crisi di liquidità che ha investito il settore bancario sembra essere il social lending. Negli ultimi tempi, infatti, i prestiti personali tra privati stanno diventando sempre più diffusi anche nel nostro Paese.
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Questa forma di prestito, tuttavia, può risultare maggiormente rischiosa delle altre di matrice più istituzionale, e dunque è opportuno valutare questa strada alternativa sempre con molta attenzione. Vediamo quindi di capire meglio di che cosa si tratta.
Il social lending offre ad un privato la possibilità di ottenere credito da un altro privato che non svolga attività creditizia in modo professionale e continuativo. Si tratta di un prestito soggetto a meno garanzie di quelle di norma richiese dagli intermediari professionali e, per questo motivo, più facile da ottenere in tempi di crisi e di credit crunch.
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In Paesi come l’Inghilterra o gli Stati Uniti il social lending è una pratica diffusa già da tempo e al giorno d’oggi vi sono delle intere società la gestiscono come core business.
Anche nel nostro Paese, tuttavia, il prestito personale e occasionale tra privati è una attività ammessa dal contratto di mutuo definito dall’art. 1813 del codice civile e dunque del tutto legale se non svolta in modo continuativo, come affermano anche gli articoli 106 e seguenti del Testo Unico Bancario.
Il social lending, dunque, che non prevede mediatori creditizi o filiali, si sviluppa all’interno delle comunità online, in cui si applicano i normali meccanismi della domanda e dell’offerta e i tassi di interesse sono decisamente più convenienti. Vi è anche, in genere, l’attribuzione di un rating di affidabilità ai privati, che esprime l’indice di solvibilità del debitore.