Gli interessi passivi si configurano come oneri che un’impresa sostiene ai fini del finanziamento della propria attività. Una prima distinzione va effettuata tra interessi passivi capitalizzati e interessi passivi non capitalizzati.
La domanda è: Come è possibile dedurre gli interessi passivi dal conto corrente bancario? Si può fare? La risposta è si, dal momento che l’amministrazione non può porre il divieto a patto che tali interessi non siano correlati a forme di ricavo.
Dal Giudice di merito, invece, gli interessi passivi sono consentiti soltanto in parte. Per quella restante devono essere di finanziamento e non di funzionamento. Queste sono le direttive trasmesse mediante la sentenza 10 ottobre scorso, n. 21467 dalla Cassazione:
Ai fini della determinazione del reddito d’impresa gli interessi passivi ex art. 75 T.U.I.R. (ora art. 109, comma 5) “sono sempre deducibili” – pur nei limiti del successivo art. 63 che indica in via generale misura e modalità di calcolo – “senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza”. Ciò significa che è precluso, tanto all’imprenditore quanto all’Amministrazione Finanziaria, dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, “dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa”.
Cosa ne pensa, dunque, la Corte di Cassazione? Per quanto concerne gli interessi, la Corte statuisce che essi sono oneri generati dalla funzione finanziaria e sono inerenti “all’impresa nel suo essere e progredire”. Ciò si verifica in quanto essi non possono essere riferiti ad una specifica gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo . Al Giudice del rinvio spetta pertanto il compito di decidere la controversia stando ai principi precedentemente espressi all’interno della normativa.