Quante volte, con l’approssimarsi del Natale, vi sarà capitato di passeggiare per vetrine e negozi alla ricerca del regalo ideale. Trovatolo, generalmente dopo lunghi momenti di imbarazzo dovuti alla solita – impossibile – domanda “Piacerà?”, vi sarete poi diretti alla cassa e visto che nel portafogli cominciano ad esserci sempre meno banconote (non certo per colpa della crisi, quanto piuttosto per rinnovate abitudini di pagamento) avrete optato per un pagamento con carta di credito o carta prepagata. Strisciata (o lettura del chip, dipende da quanto evoluto è il vostro strumento) e “transazione effettuata”, come dice lo scontrino. Saluti alla commessa e… Stop! C’è un errore in tutta questa storiella…
Già, la commessa è sempre troppo poco propensa a “seccare” il cliente ricordandosi di chiedergli un documento per verificare la corrispondenza tra la titolarità della carta di credito e il consumatore che sta effettuando l’acquisto. E dire che, fino a pochi secondi prima, magari vi stava angosciando parlandovi delle proprietà dell’oggetto che vi accingevate ad acquistare, oppure nel tentativo di vendervi qualcosa d’altro per “completare il regalo”. E dire anche che questa semplice “regola” consentirebbe di ridurre in qualche misura il rischio di frodi o l’utilizzo improprio, perché fatto da un non titolare, della carta di credito. E se fosse una carta rubata?
Sarebbe, insomma, buona norma verificare l’identità del titolare della carta di credito, ma metà degli esercenti non se ne prende la briga; sarebbe anche il caso di confrontare la firma del cliente con quella riportata sul “lato B” della suddetta carta, ma nove volte su dieci (avete capito?) l’operazione viene tralasciata. Lo dice una ricerca di Cpp Italia, divisione della multinazionale inglese specializzata nella tutela delle carte di pagamento. La piaga riguarda soprattutto i piccoli negozianti, che solo nel 4% dei casi hanno provveduto all’adempimento della corretta identificazione. A voi le conclusioni…