Più sei. Non trattandosi –al contrario- di 6+, è verosimile che non sia un giudizio di sufficienza come quelli tanto ambiti dagli studenti “un po’ pigri” (per citare quegli insegnanti che cercano di rendere meno amara la pillola da somministrare ai genitori in sede di colloquio), specie in periodo di chiusura degli scrutini al termine dei quadrimestri. Le piccole banche Usa stanno cadendo una ad una come tessere di un enorme domino, ma senza l’esito spettacolare cui siamo abituati ad assistere se seguiamo le imprese dei virtuosi del genere; cadono tutte, oppure vengono assorbite da una delle 10 “too big to fail” (troppo grandi per permettersi di farle fallire, almeno secondo i piani del Governo), e finiscono in regime di garanzia sotto la sorveglianza del Fdic (Fondo di Garanzia dei depositi) prima di essere dichiarate “out of business”.
Per farvi riflettere rispetto alla portata del fenomeno, citiamo alcuni dati: dal 2000 al 2007, anche nonostante il contraccolpo del’attentato al World Trade Center, sono fallite solo 27 banche, negli Stati Uniti. Già con il 2008, primo anno di crisi (cominciò a farsi sentire dopo un estate rovente sul fronte delle tariffe petrolifere), caddero 25 istituti, ossia –quasi- tanti quanto nei 7 anni precedenti. Ma il meglio (anzi: il peggio) era ancora là da venire se è vero come è vero che nel 2009 il contatore esplose fino a quota 140, e pensavamo che di più difficilmente avrebbe potuto fare. Smentiti solo dodici mesi più tardi dal “157” apparso su pochi giornali, a testimonianza (non certo positiva) del fatto che la notizia non fa più notizia, tanto la revisione verso l’alto del valore è entrata ormai nell’ordinario.
Questi 6 nuovi fallimenti hanno aggravato la situazione del fondo di garanzia, che ha già esaurito la propria dotazione con l’exploit dell’anno scorso e dunque, con le nuove 157 anche fallite, sta lavorando “in rosso” senza alcuna garanzia se non quella, come sempre, dei contribuenti americani, che del fondo rischiano prima o poi di accollarsi le perdite.
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