Basilea 3: i cardini dell’accordo

di Gianfilippo Verbani 2


 Regole, globali, più severe: in queste tre parole, è contenuta tutta la sostanza della “Rivoluzione Basilea 3”. Del resto, l’obiettivo delle autorità bancarie dopo la crisi che da due anni sta piegando il sistema produttivo del mondo occidentale è chiaro: quanto accaduto nel 2008 non può e neppure deve più ripetersi, mai più. È per questo che domenica scorsa a Basilea si è chiuso l’accordo sul nuovo assetto da dare agli istituti di credito, con regole mirate ad aiutare le banche a fronteggiare le future crisi attraverso il ricorso ad un rafforzamento degli asset.

Una stretta ulteriore, non da tutti ben vista dopo i precedenti di Basilea 1 e Basilea 2: alcuni temono infatti che la richiesta di requisiti patrimoniali più solidi – che poi è il nocciolo degli accordi siglati nella città svizzera – sia una pesante ipoteca sulla ripresa economica (difficoltà ancora maggiori nell’ottenere finanziamenti dalle banche, è l’accusa), e vorrebbero quantomeno che la misura fosse estesa a tutti i mercati internazionali invece che riguardare solamente lo scenario europeo. Ma intanto si comincia da qui, con un’Europa che torna a voler essere laboratorio e attore protagonista, non più solo semplice esecutore di suggerimenti che provengono da altre parti del mondo.

Si comincia, dunque, da requisiti patrimoniali più severi per l’operatività delle banche, in modo che gli istituti abbiano maggiori risorse per resistere a una crisi come quella dei mutui subprime che ha messo in ginocchio il sistema finanziario internazionale e che proprio domenica celebrava l’anniversario della sua esplosione con la memoria del fallimento di Lehman Brothers. L’accordo prevede di innalzare il rapporto tra patrimonio di vigilanza, ovvero i fondi su cui una banca può maggiormente contare in una fase di necessità, e totale delle sue attività. Non solo: più una banca ha attività investite, più dovrà essere alto il patrimonio di vigilanza.


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