Nei mesi scorsi ci siamo occupati diffusamente di carte di credito e bancomat, enumerandone pregi e difetti e concentrando la nostra attenzione principalmente sulla sicurezza dei dati trattati. Ne emerse un quadro tutto sommato positivo, specie per chi fa uso di accortezza nell’utilizzo, eppure a tratti inquietante: il furto dell’identità digitale è una realtà in crescita, eppure silenziosa e che spesso non lascia traccia di sé (se non nel nostro conto corrente, saccheggiato). È per questo che le compagnie che assicurano la sicurezza dei dati trattati stanno mettendo a punto ingegnosi e sofisticati sistemi di controllo, ma fino a quando questi non saranno completamente operativi ci si affiderà ad un metodo “casereccio” e, per certi versi, altrettanto rischioso…
Succede infatti che il controllore segua le transazioni effettuate da ciascuno degli utenti di carta di credito (in Italia ne circolano ben 35 milioni) e ne controlli, per così dire, l’affinità con le abitudini di consumo: se un utente spende in media un centinaio di €uro per volta, poniamo caso nell’abbigliamento, in un negozio dell’hinterland milanese, nasce quantomeno il sospetto di fronte ad una spesa molto maggiore, in un altro ambito del consumo, effettuata magari negli Stati Uniti. A questo punto un addetto di call center chiama l’utente e si accerta del suo essere stato in America, altrimenti è chiaro che la carta che ha effettuato tale spesa risulta clonata. Fin qui la sicurezza…
Peccato che le continue tracce, una volta seguite, possano essere anche utilizzate da società che operano indagini di marketing. Vi recate in un negozio di articoli per l’infanzia, strisciate, nasce il “sospetto” (per così dire) che abbiate avuto un lieto evento tra le mura domestiche. E parte la conseguente campagna di marketing, pronta ad intasarvi la posta (generalmente elettronica) con pubblicità pertinenti al mondo della prima infanzia. È questo il prezzo da pagare se si vuole avere la sicurezza?