Irlanda (e non solo) in Crisi, il ruolo dello “spread”

di Gianfilippo Verbani 2


 Se Dublino ha bisogno, noi siamo qui. Non lo poniamo tra virgolette, dacché non è una dichiarazione esplicita, ma la sostanza rimane tale: i ministri dell’economia dei Paesi di riferimento dell’Unione europea (Francia e Germania, ma anche Regno Unito –dove comunque non esiste l’euro- e la tanto vituperata Italia) si sono detti disponibili ad aiutare l’Irlanda a dipanare l’intricata matassa della sua crisi da indebitamento selvaggio del piccolo risparmiatore; tanto è bastato ai mercati per ritrovare la fiducia, la scorsa settimana, e non scivolare verso una difficoltà anticamera della bancarotta. Intanto il differenziale di rendimento tra i bond irlandesi e il bund tedesco, parametro cui sono stati riferiti tutti gli altri bond europei, è crollato di 60 punti base fino a 586 punti, il maggior calo da maggio.

Anzitutto, un po’ di valori: il Portogallo, altro Paese in crisi, ha bond a 441 punti; la Grecia, ormai in crisi dichiarata, quota 917; la Spagna sta scivolando anch’essa a 204, mentre l’Italia si mantiene vicina alla soglia di galleggiamento: 164 punti. Ma cosa sono questi spread? Si tratta del “differenziale” tra quanto i Paesi dell’Eurozona devono pagare in più per vendere i titoli di Stato rispetto a quanto paga la Germania, parametro di riferimento, che piazza i suoi Bund con un rendimento al 2,4%.

Le quotazioni record registrate in settimana, e di cui abbiamo riferito poco sopra, dicono che l’Irlanda è costretta a pagare il 5,86% in più rispetto a Berlino, uno spread che non si vedeva addirittura dagli anni ‘80. Il caso-Grecia è emblematico: ben oltre i 900 punti, i bond ellenici sono appesantiti dalle indiscrezioni di un deficit che supera le stime governative e che comporterà nuovi tagli. Anche i dati italiani hanno pagato una settimana più dura delle altre: il rendimento dei BTP decennali ha infranto un primato arrivando a 182 punti, il massimo dal ’97, per poi tornare a 164.


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