Non è cambiato nulla, sintomo del fatto che la terapia d’urto non può ancora dirsi conclusa. Ma c’è – anche – dell’altro: a quanto pare, infatti, nulla cambierà ancora per alcuni mesi, benché la stabilizzazione del malato proceda come da programmi ed a parte il sussulto greco dell’aprile scorso non si siano verificati altri gravi casi di “emorragia interna” di grave entità. Perché il corpo di quella che dovrebbe nascere come nazione europea, sebbene politici ed analisti dicano che è necessaria una “nuova fase” altrimenti il sogno della costruzione di uno stato unitario andrà in frantumi, è un po’ come un organismo vivente: tante “parti”, tutte altrettanto importanti, alcune più esposte di altre al rischio di perdere efficienza e dover essere monitorate.
Dal punto di vista strettamente economico, lo strumento di monitoraggio e terapia più importante a disposizione della “mente” europea è sicuramente la possibilità di gestire il tasso di riferimento, abbassandolo o rialzandolo in base alle esigenze monetarie per calmierare l’inflazione oppure, al contrario, rilanciare i consumi quando – come sta avvenendo in questo particolare periodo – c’è bisogno che i consumatori tornino ad avere fiducia nel mercato ed a spendere, così da attivare un circolo virtuoso. Cresciuto inesorabilmente fino al 2008, con l’evidente conseguenza di rendere molto più cari i mutui ma anche più redditivi i depositi e gli investimenti, il tasso d’interesse è poi stato rapidamente ritoccato al ribasso con la crisi economica, fino al valore attuale.
Che è questo, come recita un lancio d’agenzia: “La Bce lascia invariato all’1% il tasso di riferimento, così come restano invariati il tasso marginale sulle operazioni di rifinanziamento all’1,75% e quello sui depositi allo 0,25%”. È questo quanto ha reso noto l’Istituto di Francoforte al termine del Consiglio direttivo, tenutosi lo scorso fine settimana. Sulla stessa lunghezza d’onda pare si muoveranno i banchieri americani, benché nel loro caso il tasso sia sensibilmente più basso: 0%!
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